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Alzheimer, quando il ricordo non ha più memoria: "La storia di chi vive la malattia quotidianamente"

Cronaca

Alzheimer, quando il ricordo non ha più memoria: "La storia di chi vive la malattia quotidianamente"

Nota- Questo approfondimento giornalistico è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di Ret...

23 Maggio 2022 08:18

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Nota- Questo approfondimento giornalistico è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di Rete ChiaraNel corso dell'anno scolastico nel Liceo delle Scienze Umane ho particolarmente dimostrato interesse nell'approfondire quelle che sono le malattie neurodegenerative. Così, nel percorso del PCTO ho deciso di intervistare una famiglia milanese che convive oramai da anni con un malato di Alzheimer da ben 7 anni.Il marito e padre di famiglia ha manifestato i primi sintomi di demenza nel 2015, all'età di 55 anni, per poi ricevere una diagnosi più accurata nel 2016.AlzheimerIl morbo di Alzheimer è la forma più comune di demenza, un termine generale che si riferisce alla perdita di memoria e di altre abilità intellettuali talmente grave da interferire con la vita quotidiana. Il morbo di Alzheimer rappresenta il 50-80% dei casi di demenza. Esistono molteplici malattie di decadimento cognitivo che intaccano la memoria, le capacità di elaborare gli stimoli e di superare piccoli ostacoli della vita quotidiana, come ad esempio la demenza frontotemporale, demenza cardiovascolare e Alzheimer, per citarne alcune. Tutte malattie neurodegenerative che attaccano in modo graduale parti diverse del nostro cervello, accumunate da uno stadio finale che costringe la persona colpita ad uno stadio vegetativo, salvo eccezioni. Purtroppo di questa malattia si sa ancora molto poco. Quello che è evidente però è l'effetto a catena che travolge sia il soggetto colpito che il nucleo familiare.Le molteplici domande che ho posto loro sono state spesso percepite come difficili, anche a causa del legame affettivo tra il malato e i familiari, nonché del disagio che questo malattia crea. Una tra queste è la scarsa presenza di Centri specializzati adibiti a malati di Alzheimer, o ancora la poca disposizione di stanze adeguate per questo tipo di malati di cui i complessi ospedalieri dispongono. Infatti, non tutti i malati di Alzheimer riescono a rientrare nelle caratteristiche basilari per farsi accettare dai Centri socio-assistenziali; questo, tra le altre cose, incide molto sul malato in quanto possiede un esagerato bisogno di stare con altre persone e di essere stimolato, stimoli che la famiglia, a causa del lavoro e di altro, non può sempre assicurare. Alloro mi sono chiesto quale sia l'impatto sulla famiglia se i soggetti in questione sono costretti a rimanere a casa, come quanto successo nei primi mesi del 2020.I ricordi brevi attimi di tempi passati che incidono in modo negativo o positivo sul nostro oggi e domani. Ma cosa succederebbe se tutto ciò andasse a deteriorarsi col tempo fino a perderli del tutto?La risposta che ho ricevuto fa riflettere molto. "L'essere costretti a rimanere chiusi in casa per un periodo prolungato di tempo e senza la libertà di uscire anche solo per fare una passeggiata - ha detto la famiglia del malato - rischia di incidere enormemente sulle vite di malato e caregiver, vite a cui è stata tolta la libertà di scelta o di attimi tranquillità. Questo accade perché il malato - aggiunge la famiglia - assieme al "cocktail" di farmaci che deve assumere quotidianamente in determinate fasce orarie, priva chi lo accudisce delle proprie libertà, poiché le attenzioni che gli si deve dedicare occupano tutta la giornata.La testimonianza che più mi ha incuriosito è stata la storia della figlia minore, di circa 20 anni che, nonostante il dolore del non essere più riconosciuta dal proprio padre e di essere stata privata della libertà di vivere le "classiche" spensieratezze della giovinezza, continua ad accudire e coccolare il padre giorno dopo giorno. Si è persino riuscita a laureare, così come la madre che, seppur con l'angoscia che solo una moglie ha a lasciare il marito in mano ad estranei, è riuscita a prendere il timone della situazione e a condurre una vita abbastanza soddisfacente, nonostante i frequenti salti fra ospedali medici cliniche e lavoro.La domanda alle due donne sorge spontanea.Come avete vissuto il rapporto tra accudimento del malato e lavoro/università durante il primo lockdown?Con occhi gonfi di tristezza e stanchezza mi rispondono:"Date un'assistenza non-stop, senza distacco, il lavoro, come lo studio, era uno dei mezzi col quale riprendere fiato, mentre per lui anche, se non conscio della situazione, ha mostrato spesso segno di nervosismo e irrequietezza a causa della mancanza di stimoli che solo un centro o operatori del settore riescono a fornire".Concludo ringraziando di cuore la famiglia che ha messo a disposizione il proprio tempo e le proprie emozioni aprendosi con me e rispondendo a domande a cui non è sempre facile dare una risposte che fanno ripensare anche alle splendide esperienze passate che oramai rimangono per loro solo un ricordo. Ma anche risposte che segnano e fanno capire quante storie ci siano attorno a noi e come una pandemia globale abbia aggiunto qualche sfida in più a queste piccole narrazioni. Ciò che conta, però, è l'amore e l'aiuto reciproco che permeano la vita di ogni famiglia, i cui membri sono legati da un filo rosso così fitto grazie al quale si riesce a creare l'incastro perfetto per questo puzzle chiamato vita.di Giuseppe Reina (Approfondimento giornalistico PCTO Liceo delle Scienze Umane Paritario "G. Gentile" di Caltagirone)

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