"Giuseppe Tallarita, un sogno spezzato", presentato a Gela il libro sull’agricoltore ucciso dalla Stidda
Cultura
"Giuseppe Tallarita, un sogno spezzato", presentato a Gela il libro sull’agricoltore ucciso dalla Stidda
Il libro è stato presentato sabato a Gela e ieri sera a Butera
Giuseppe Tallarita era un uomo semplice, amava la propria terra, la sua famiglia si cibava di lavoro, rispetto delle regole e di valori. Un concetto di vita che già, nella prima metà degli anni Ottanta, si scontrò con la prepotenza di un pastore intenzionato a spadroneggiare con le sue greggi nel podere di contrada Desusino di sua proprietà e dove il pastore buterese sognava di trascorrere la propria vecchiaia circondato dall’amore di figli e nipoti. Tallarita si oppose al pastore, ignaro che quel diniego, qualche anno più tardi, lo avrebbe pagato con la vita. Quel pastore era Aurelio Cavallo, poi divenuto tra i leader del clan della Stidda e tra i killer più spiegati della storia criminale. Dopo il primo “no” al pascolo, Cavallo in altre occasioni nel prosieguo degli anni fece irruzione con il proprio gregge nella proprietà di Tallarita, distruggendo colture e raccolti e quando il 28 settembre del ‘90, diventato ormai un “pezzo da novanta” della Stidda, a bordo di un’auto si stava spostando da un covo all’altro, transitando davanti alla proprietà di Tallarita, notò l’agricoltura al lavoro, si ricordò di quel rifiuto, ed ordinò a due suoi “scagnozzi” che lo scortavano in sella ad una moto di farlo fuori. I due sicari ubbidirono, esplodendo una scarica di pistolettate contro Tallarita. L’agricoltore si accasciò a terra e, incredulo per la fine che gli era stata riservata, con un filo di voce, nei sei minuti di agonia che lo separavano dalla morte, chiese ai suoi sicari: “cosa vi ho fatto?”. Tallarita, come spiegarono in seguito i collaboranti, aveva detto no ai soprusi in nome del rispetto delle regole. Ad assassinarlo furono Vincenzo Spina, poi morto suicida in carcere, e Orazio Paolello che sta bruciando la sua vita in cella in regime di 41 bis. La storia di Tallarita è stata ripercorsa nel libro “Giuseppe Tallarita - un sogno spezzato” di Valerio Esposti, dipendente del comune di Peschiera Borromeo ed autore di diverse pubblicazioni. La prefazione é di Moni Ovadia. Il libro è stato presentato sabato a Gela e ieri sera a Butera in una sala gremita del teatro e alla presenza dell’autore, dei familiari e delle autorità cittadine, le stesse che, di recente, hanno intitolato una targa alla memoria di Tallarita, un uomo retto, la cui storia di ribellione pacifica deve essere veicolata alle nuove generazioni come esempio di scelta netta a favore della legalità. A dare l’input alla stesura del libro è stata Rosy Tallarita, nipote dell’ agricoltore assassinato. La donna vive a Peschiera Borromeo e negli anni ha trasformato la tragedia che ha colpito la sua famiglia in impegno sociale.
Giuseppe Tallarita era un uomo semplice, amava la propria terra, la sua famiglia si cibava di lavoro, rispetto delle regole e di valori. Un concetto di vita che già, nella prima metà degli anni Ottanta, si scontrò con la prepotenza di un pastore intenzionato a spadroneggiare con le sue greggi nel podere di contrada Desusino di sua proprietà e dove il pastore buterese sognava di trascorrere la propria vecchiaia circondato dall'amore di figli e nipoti. Tallarita si oppose al pastore, ignaro che quel diniego, qualche anno più tardi, lo avrebbe pagato con la vita. Quel pastore era Aurelio Cavallo, poi divenuto tra i leader del clan della Stidda e tra i killer più spiegati della storia criminale.
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Dopo il primo "no" al pascolo, Cavallo in altre occasioni nel prosieguo degli anni fece irruzione con il proprio gregge nella proprietà di Tallarita, distruggendo colture e raccolti e quando il 28 settembre del ‘90, diventato ormai un "pezzo da novanta" della Stidda, a bordo di un'auto si stava spostando da un covo all'altro, transitando davanti alla proprietà di Tallarita, notò l'agricoltura al lavoro, si ricordò di quel rifiuto, ed ordinò a due suoi "scagnozzi" che lo scortavano in sella ad una moto di farlo fuori. I due sicari ubbidirono, esplodendo una scarica di pistolettate contro Tallarita. L'agricoltore si accasciò a terra e, incredulo per la fine che gli era stata riservata, con un filo di voce, nei sei minuti di agonia che lo separavano dalla morte, chiese ai suoi sicari: "cosa vi ho fatto?".
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Tallarita, come spiegarono in seguito i collaboranti, aveva detto no ai soprusi in nome del rispetto delle regole. Ad assassinarlo furono Vincenzo Spina, poi morto suicida in carcere, e Orazio Paolello che sta bruciando la sua vita in cella in regime di 41 bis. La storia di Tallarita è stata ripercorsa nel libro "Giuseppe Tallarita - un sogno spezzato" di Valerio Esposti, dipendente del comune di Peschiera Borromeo ed autore di diverse pubblicazioni. La prefazione é di Moni Ovadia. Il libro è stato presentato sabato a Gela e ieri sera a Butera in una sala gremita del teatro e alla presenza dell'autore, dei familiari e delle autorità cittadine, le stesse che, di recente, hanno intitolato una targa alla memoria di Tallarita, un uomo retto, la cui storia di ribellione pacifica deve essere veicolata alle nuove generazioni come esempio di scelta netta a favore della legalità.
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A dare l'input alla stesura del libro è stata Rosy Tallarita, nipote dell' agricoltore assassinato. La donna vive a Peschiera Borromeo e negli anni ha trasformato la tragedia che ha colpito la sua famiglia in impegno sociale.