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Gli ordini partivano dal carcere, a darli era un boss di Catania con il telefonino

Cronaca

Gli ordini partivano dal carcere, a darli era un boss di Catania con il telefonino

È quanto emerge dall'inchiesta Leonidi bis della Dda di Catania

Redazione

02 Agosto 2024 14:47

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Diversi capi storici della famiglia catanese di Cosa nostra avrebbero dato ordini dal carcere, in cui erano detenuti, in varie parti d'Italia, continuando «ininterrottamente a esercitare la loro attività di indirizzo e controllo delle dinamiche criminali comunicando con i sodali liberi attraverso dispositivi telefonici che si erano procurati illecitamente e che detenevano negli istituti penitenziari». È quanto emerge dall'inchiesta Leonidi bis della Dda di Catania contro una frangia della cosca Santapaola-Ercolano rilevando che questo «dimostrerebbe l'assoluta permeabilità degli istituti penitenziari alla ricezione e all'ingresso di dispositivi di comunicazione che consentirebbero agli affiliati detenuti di mantenere contatti quotidiani con i sodali liberi, in modo da impartire le loro direttive».

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Tra i boss che entrano nell'inchiesta c'è Salvatore Battaglia, storico responsabile del gruppo del Villaggio Sant'Agata, assieme al fratello Santo, e protagonista di una intensa stagione di sangue negli anni ‘90, già condannato in via definitiva per mafia e omicidio, che, secondo l'accusa, «sarebbe risultato essere punto di riferimento attuale per il sodalizio criminale, capace di fornire indicazioni ai sodali circa la gestione delle dinamiche associative, a dispetto del suo status di detenuto». Battaglia avrebbe ricevuto numerose informazioni durante la detenzione dagli affiliati «in modo da essere sempre aggiornato sulle dinamiche in corso e da impartire direttive su incontri da svolgere con affiliati o soggetti di interesse sulla gestione dei proventi delle attività illecite di pertinenza del gruppo del Villaggio Sant'Agata e sui comportamenti, anche violenti, da tenere alcune situazioni».

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Altra «figura di interesse», emersa dalle indagini dei carabinieri, secondo la Dda di Catania, sarebbe Salvatore Gurrieri, esponente della «vecchia generazione» di affiliati: detenuto in un istituto penitenziario del Nord Italia, assieme ad altri affiliati, compreso uno dei vertici della cosca, avrebbe avuto la «possibilità di ricevere e veicolare direttamente le informazioni tra i sodali liberi e i soggetti con esso detenuti e pretendere erogazioni di denaro».

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