Omicidio Sequino a Gela: la procura impugna le assoluzioni di Liardo e Raniolo
Cronaca
Omicidio Sequino a Gela: la procura impugna le assoluzioni di Liardo e Raniolo
Il tassista venne ucciso la sera del 17 dicembre del 2015
Per la Procura distrettuale di Caltanissetta la sera del 17 dicembre del 2015 a firmare l’omicidio del tassista Domenico Sequino sarebbe stato Salvatore “Tony” Raniolo su mandato ricevuto da Nicola e Giuseppe Liardo, all’epoca rispettivamente suo suocero e suo cognato. Una responsabilità che, secondo i magistrati, emergerebbe dalle intercettazioni eseguite all’interno del carcere Pagliarelli dove Nicola Liardo, nel corso di un colloquio, avrebbe organizzato con il figlio l’eliminazione del tassista per “sgarri” di natura economica. Quelle stesse intercettazioni, sottoposte a perizia,collegiale nel corso del processo di primo grado contro i Liardo e Raniolo, risultati i claudicanti per sostenere l’accusa, tant’è che la Corte d’Assise di Caltanissetta lo scorso 7 luglio emise sentenza di assoluzione contro i tre per i quali, invece, la Procura distrettuale caldeggiava la condanna all’ergastolo. Conosciute le motivazioni della sentenza, la Procura ha impugnato quel verdetto chiedendo alla Corte d’Appello di rivalutare il contenuto delle intercettazioni e delle trascrizioni e di ribaltare, quindi, il verdetto di assoluzione in condanna. Per i magistrati della Dda di Caltanissetta sarebbe stato Nicola Liardo da dietro le sbarre del carcere Pagliarelli di Palermo - ad ordinare a suo figlio Giuseppe di organizzare la trappola mortale contro Sequino. Giuseope Liardo, a sua volta, ricevuto l’ordine dal genitore, avrebbe coinvolto nella missione Salvatore “Tony” Raniolo, suo cognato all’epoca dei fatti, fornendogli anche la pistola con la quale quella tragica sera di dicembre di nove anni fa Sequino fu assassinato come un boss nel centralissimo corso Vittorio Emanuele. I suoi killer, viaggiavano in sella ad uno scooter e lo colpirono alle spalle mentre si intratteneva a chiacchierare con degli amici davanti il sagrato della chiesa Madre. In primo grado, la Procura distrettuale, nel chiedere di condannare i tre imputati all’ergastolo, aveva sostenuto che fosse stato Raniolo con un complice rimasto ignoto a premere il grilletto contro Sequino. Ma le accuse contro i tre in sede dibattimentale non ressero e la Corte d’Assise, li mandò assolti. Ora le loro posizioni vengono messe nuovamente in discussione dalla Procura che ha appellato la sentenza di primo grado. Prossimamente, dunque, i tre saliranno nuovamente sul pretorio per difendersi dall’accusa di essere stati gli artefici del fatto di sangue.
Per la Procura distrettuale di Caltanissetta la sera del 17 dicembre del 2015 a firmare lâomicidio del tassista Domenico Sequino sarebbe stato Salvatore âTonyâ Raniolo su mandato ricevuto da Nicola e Giuseppe Liardo, allâepoca rispettivamente suo suocero e suo cognato. Una responsabilità che, secondo i magistrati, emergerebbe dalle intercettazioni eseguite allâinterno del carcere Pagliarelli dove Nicola Liardo, nel corso di un colloquio, avrebbe organizzato con il figlio lâeliminazione del tassista per âsgarriâ di natura economica. Quelle stesse intercettazioni, sottoposte a perizia,collegiale nel corso del processo di primo grado contro i Liardo e Raniolo, risultati i claudicanti per sostenere lâaccusa, tantâè che la Corte dâAssise di Caltanissetta lo scorso 7 luglio emise sentenza di assoluzione contro i tre per i quali, invece, la Procura distrettuale caldeggiava la condanna allâergastolo.
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Conosciute le motivazioni della sentenza, la Procura ha impugnato quel verdetto chiedendo alla Corte dâAppello di rivalutare il contenuto delle intercettazioni e delle trascrizioni e di ribaltare, quindi, il verdetto di assoluzione in condanna. Per i magistrati della Dda di Caltanissetta sarebbe stato Nicola Liardo da dietro le sbarre del carcere Pagliarelli di Palermo - ad ordinare a suo figlio Giuseppe di organizzare la trappola mortale contro Sequino. Giuseope Liardo, a sua volta, ricevuto lâordine dal genitore, avrebbe coinvolto nella missione Salvatore âTonyâ Raniolo, suo cognato allâepoca dei fatti, fornendogli anche la pistola con la quale quella tragica sera di dicembre di nove anni fa Sequino fu assassinato come un boss nel centralissimo corso Vittorio Emanuele.
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I suoi killer, viaggiavano in sella ad uno scooter e lo colpirono alle spalle mentre si intratteneva a chiacchierare con degli amici davanti il sagrato della chiesa Madre. In primo grado, la Procura distrettuale, nel chiedere di condannare i tre imputati allâergastolo, aveva sostenuto che fosse stato Raniolo con un complice rimasto ignoto a premere il grilletto contro Sequino. Ma le accuse contro i tre in sede dibattimentale non ressero e la Corte dâAssise, li mandò assolti. Ora le loro posizioni vengono messe nuovamente in discussione dalla Procura che ha appellato la sentenza di primo grado. Prossimamente, dunque, i tre saliranno nuovamente sul pretorio per difendersi dallâaccusa di essere stati gli artefici del fatto di sangue.