Cronaca
Blitz antimafia a Gela, serre di marijuana a Settefarine e summit in una polleria
E' uno dei dettagli che emerge dall'operazione Ianus
C'era chi coordinava i rapporti tra Cosa nostra gelese e la mafia catanese, chi si occupava materialmente della gestione delle serre e dei depositi di marijuana, chi manteneva legami attivi con il clan Cappello di Catania e con il "gruppo di Monte di Po", chi intratteneva rapporti con i fornitori, chi si occupava della cessione dello stupefacente e del recupero dei crediti e chi andava a prendere la droga in Calabria per poi smerciarla. Ognuno ricopriva un ruolo ben preciso nella presunta organizzazione sgominata dalla polizia e dalla Dda nissena nel blitz "Ianus". Si tratta di personaggi noti agli uomini della squadra mobile di Caltanissetta diretta da Nino Ciavola e dal commissariato di Gela con a capo Felice Puzzo.
Ad impartire gli ordini, il 51enne gelese Giuseppe Tasca, fratello dell'altrettanto noto Carmelo. Tasca, ritenuto dagli inquirenti il nuovo reggente del clan Rinzivillo, andò ad occupare un posto rimasto vuoto dopo l'arresto, nell'ambito dell'operazione "Extra fines" di Salvatore Rinzivillo, l'unico dei fratelli che erano rimasti in libertà, considerato che gli altri due, Antonio e Crocifisso sono già in carcere da diversi anni. Ai vertici del potente clan gelese, con ramificazioni a Roma, nel Nord Italia e fino in Germania, non c'era nessuno dotato di un certo carisma. A colmare quel vuoto, Giuseppe Tasca, scarcerato il 3 settembre 2018 dopo un lungo periodo di detenzione iniziato il 2 settembre del 1999 e personaggio già ritenuto appartenente al clan Rinzivillo.
Un fedelissimo del sodalizio mafioso che all'indomani della sua scarcerazione e per via dei suoi trascorsi criminali, andò a ricoprire la prestigiosa carica di reggente. E' stato lui a prendere le redini dell'organizzazione mafiosa in un periodo di profonda difficoltà. Era lui che curava i rapporti con i capimafia di altri mandamenti operanti in Sicilia, dirigeva e gestiva il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti, le estorsioni e gli altri traffici illeciti dell'organizzazione mafiosa. Sebbene, in alcune occasioni sia stato destinatario di forti critiche, egli - secondo gli inquirenti - ha senz'altro consentito e contribuito a perseguire le attività illecite dell'organizzazione criminale ed ha contestualmente garantito il permanere della sua influenza nel territorio. Gli arrestati erano molto attivi nel traffico e nello spaccio di sostanze stupefacenti. C'era chi viaggiava sull'asse Gela - Polistena, in provincia di Reggio Calabria e chi curava i rapporti con Catania e Palermo con la droga che veniva smerciata anche nelle piazze dei comuni limitrofi come a Licata e a Vittoria. C'era anche un deposito di marijuana in contrada Biviere, nei pressi di una riserva naturale ma anche una piantagione di cannabis in uno dei quartieri più popolati di Gela, a Settefarine, alla periferia della città. I summit si tenevano in aperta campagna oppure in una polleria ma c'era anche chi metteva a disposizione la propria abitazione o quella dei propri genitori. Alcuni di loro si vantavano della loro appartenenza al clan e c'era anche chi, non riuscendo a riscuotere i soldi dello spaccio, era pronto ad impugnare una pistola calibro 12. A seguire ogni loro movimento, con telecamere, intercettazioni telefoniche e ambientali, c'era però la polizia che ha dato un altro duro colpo ai clan predominanti nel territorio gelese. In manette sono finiti 32 gelesi, 4 catanesi, 4 palermitani, 12 agrigentini e 3 reggini. Sono accusati a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso, intestazione fittizia di beni, estorsione e traffico di sostanze stupefacenti. Reati aggravati dalla disponibilità di armi (anche da guerra) ed esplosivi