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Blitz "Mondo Opposto" tra Gela e Niscemi: il boss provò piacere per la morte di un carabiniere

Cronaca

Blitz "Mondo Opposto" tra Gela e Niscemi: il boss provò piacere per la morte di un carabiniere

E' uno dei dettagli che emerge dal blitz antimafia dei carabinieri e della Dda

Redazione

23 Dicembre 2023 17:03

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Alberto Musto, capo mandamento di Gela e reggente di Cosa nostra a Niscemi, non solo provava ribrezzo nei confronti delle istituzioni ma avrebbe anche goduto per la morte di un carabiniere, deceduto a causa di un incidente stradale. E manifesta tutto il suo piacere, nel corso di un dialogo con un suo scugnizzo. Nel corso di una conversazione, Giuseppe Manduca, informa il boss di avere appena appreso la notizia della morte di un militare dell'Arma. "Mih…ah questo? Minchia non poteva morire prima? Carabiniere era? Bello è stato, lo vedi? Il Signore c'è Pè". Una conversazione che dimostra l'avversità che il capomafia e i suoi fedelissimi nutrivano nei confronti delle forze dell'ordine anche perché, nonostante continuavano a sfidare le forze dell'ordine e le istituzioni, in cuor loro, temevano di finire nuovamente in cella da "innocenti".

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Il reggente di Niscemi, parlando ancora con il suo affiliato, gli fa presente che bisogna scongiurare un altro arresto. "A me secca, Peppe mi devo andare a fare altri 10 anni di carcere per minchiate". Osservazione che Giuseppe Manduca condivide: "Pure a me, io senza motivo…Ma come, noi siamo puliti in tutte le cose, siamo stati puliti…c'è qualcuno che parla". Al suo capo gli consiglia di non incontrare nessuno e di non andare a nessun appuntamento. "Vattene in piazza" gli dice. Erano ossessionati dalla presenza sul territorio delle forze dell'ordine, anche perchè polizia e carabinieri erano presenti in maniera massiccia. Nel corso di un dialogo, Alberto Musto mette in guardia Giovanni Ferranti, un altro suo affiliato e gli consiglia di prestare la massima cautela, perché nota che il paese è assediato dalle forze dell'ordine: "Dobbiamo stare attenti che c'è la Dda. La Dda proprio quella di Caltanissetta". "E' danno, ci sono indagini", replica Musto. Ad un assistente capo della polizia in servizio al commissariato di Niscemi, volevano incendiare l'auto, perché durante un controllo, effettuato mentre Alberto e Sergio Musto erano a bordo di una macchina, il poliziotto e un suo collega avevano osato contestargli il mancato uso delle cinture di sicurezza e quindi avevano elevato una sanzione amministrativa.

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Tanto è bastato per provocare l'ira e la furia del boss: "Mi perseguitate, così non si può lavorare, ora me la vedo io con il dirigente del commissariato e in caso anche con il questore, non potete rompere i c…...per una cintura, andate a lavorare. D'ora in poi vi faremo correre". Reazione che ha fatto scattare a carico di Alberto e Sergio Musto una denuncia penale con un processo al tribunale di Gela in corso. Al poliziotto, per vendetta, bisognava bruciare l'auto. Tutto era pronto per mettere a segno il gesto intimidatorio. Ma le cose andarono diversamente perché l'attentato incendiario venne sventato dai carabinieri di Gela, che venuti a conoscenza del gesto, informarono il commissariato di Niscemi e quindi l'agente. Ma per il clan era solo un attentato rinviato anche perché il poliziotto era stato trasferito da Gela e Niscemi proprio perchè aveva già subito un altro attentato incendiario: "Ora lo facciamo trasferire noi di nuovo". Al fratello dell'agente, anche lui poliziotto, venne riservato un gesto ancora più macabro: davanti l'ingresso della sua abitazione, venne collocata, la testa mozzata di maiale.

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