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Il boss festeggia 25 anni di matrimonio nella chiesa in cui è sepolto Falcone, indignazione a Palermo

Cronaca

Il boss festeggia 25 anni di matrimonio nella chiesa in cui è sepolto Falcone, indignazione a Palermo

Tommaso Lo Presti ha festeggiato le nozze d'argento nel Pantheon dei siciliani

Redazione

26 Aprile 2024 10:39

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Imbarazzo e indignazione a Palermo dopo la notizia che lo scorso 15 aprile il boss mafioso palermitano Tommaso Lo Presti, ha festeggiato le nozze d'argento nel Pantheon dei siciliani illustri, la Chiesa di San Domenico, che accoglie le spoglie di Giovanni Falcone. Il boss era stato scarcerato da poco dopo una dozzina di anni di carcere, e con la moglie, anche lei condannata per mafia. Aveva deciso di fare festa per il venticinquesimo, prima con una Messa in questo luogo suggestivo e simbolico, luogo di funerali di Stato come quello per il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, e poi con alcuni neomelodici in una villa privata. Sul quotidiano 'La Repubblica' Maria Falcone si dice "indignata, amareggiata per le nozze d'argento del boss celebrate nella chiesa di San Domenico, è come se quel mafioso avesse fatto una prepotenza contro Giovanni, ma Giovanni dall'alto non si cura di loro".

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Il rettore di San Domenico assicura di avere saputo solo dopo chi fosse la coppia e che l'offerta ricevuta dal boss non sarà restituita, ma utilizzata per "fare del bene a chi ne ha bisogno". Ma questo non sembra bastare a chi si è sentito ferito e c'è chi parla di "grave sfregio alla memoria e alla città" e punta il dito anche contro certi settori della Chiesa non ancora netti nei loro comportamenti. La Chiesa di San Domenico edificata a partire dal 1640, con l'edificio di culto più vasto della Sicilia, è dell'Ordine dei Domenicani e non sotto la giurisdizione canonica dell'arcidiocesi di Palermo. Dalla metà del XIX secolo è accolto il Pantheon degli Illustri di Sicilia, uomini e donne che si sono distinti, e fra questi, dal 2015, Giovanni Falcone.

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Lo scorso 23 aprile, in occasione del funerali di Vincenzo Agostino, in cattedrale, l'arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, aveva pronunciato parole nette, invitando a una "resistenza attiva e proficua alla mafia e alle tante forme del male strutturato che insanguina le strade della città, sparge afflizione nelle case e nelle famiglie, pianifica depistaggi, compra silenzi e connivenze anche tra esponenti del potere politico e delle istituzioni dello Stato". In una città che "ha assistito al sacrificio di tanti uomini e donne delle istituzioni, della società civile e della Chiesa palermitana", è necessario rinnovare l'impegno, incalzava don Corrado, per la "costruzione di una città degli uomini giusta e solidale, libera dalle 'strutture di peccato' mafiose e dalla corruzione e dalla falsità imperante".

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In questo stesso Pantheon riposano, dal 23 marzo scorso, le spoglie di un altro siciliano illustre, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, con l'intezione dichiarata di consegnare ed esaltare l'attualità del messaggio dello scrittore che sta nella sua capacità di analizzare il periodo di trasformazioni e di crisi in cui il suo romanzo più noto, "Il Gattopardo", è ambientato, e di raccontare la sicilianità delineando tipi umani universali. Ma, tra fauna più o meno nobile citata nel libro, iene, sciacalli, pecore, gattopardi e leoni, appare attualissimo quel messaggio che è un atto d'accusa contro una incapacità e una inadeguatezza, quasi strutturali, al vero cambiamento: "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi".

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