Cronaca
"Mio figlio in carcere in Romania in condizioni terribili", il disperato appello di una mamma di Caltanissetta
Filippo Mosca è detenuto da oltre nove mesi in un carcere di massima sicurezza
È una mamma con il cuore a pezzi. È la mamma di un ragazzo di 29 anni di Caltanissetta che da nove mesi si trova rinchiuso in un lager. Ornella Matraxia vive a Londra insieme ad altre due figlie Claudia ed Arianna ed è la mamma di Filippo Mosca, un giovane di Caltanissetta arrestato lo scorso 3 maggio in Romania e da allora detenuto nel carcere di massima sicurezza di Poarta Alba di Constanta, dopo essere stato condannato in primo grado a 8 anni e 3 mesi per traffico internazionale e nazionale di sostanze stupefacenti.
«Mio figlio si trova in carcere in condizioni igienico-sanitarie terribili. Vive in una cella di circa 30 metri quadrati con altre 24 persone che hanno a disposizione un buco sul pavimento come bagno. Non un bagno alla turca, ma un buco, usato da tutti e sempre intasato perché non viene mai pulito. Le celle sono luride e sovraffollate, invase da ratti e i materassi da cimici», afferma la mamma.
Quella che doveva essere una vacanza si è trasformata in un incubo. Tutto è iniziato quando Filippo è partito, alla volta della Romania, insieme alla fidanzata e a numerosi altri ragazzi provenienti da diverse parti d'Italia e non, per prendere parte ad un festival internazionale di musica. Il giorno prima del suo volo di ritorno, da Bucarest si è recato a Costanta, insieme alla sua ragazza, un altro amico e ad un'amica. Quest'ultima doveva ricevere un pacco da Barcellona e avrebbe chiesto di farlo recapitare in albergo visto che la consegna nel suo appartamento non era andata a buon fine. «Filippo - spiega la mamma - non aveva idea di cosa contenesse quel pacco. La polizia rumena, nonostante fosse la ragazza l'intestataria della scatola che conteneva 150 grammi di droga tra marijuana, ketamina e Mdma, abbia con fermezza dichiarato di essere l'unica responsabile e che gli altri non erano a conoscenza del contenuto e abbia continuato a dichiararlo durante tutto il procedimento, hanno portato in caserma i quattro, sequestrandoli per 48 ore, senza averne l'autorizzazione, senza la presenza di un interprete italiano, registrato la loro conversazione e impedito loro di chiamare un avvocato. Anche in questo caso - sottolinea Ornella Matraxia - senza avere le necessarie autorizzazioni emettendo poi un'ordinanza di custodia cautelare. Da quel giorno è iniziato il nostro inferno. Durante le udienze del processo di primo grado, gli avvocati difensori hanno richiesto al giudice di escludere dalle prove le registrazioni ambientali. In realtà non c'è nient'altro considerando il fatto che dal controllo informatico del suo cellulare non hanno trovato un solo messaggio o telefonata che possa richiamare il suo comportamento a qualche attività di spaccio. Non ci sono prove. Le modalità con le quali hanno proceduto sono illegali e anticostituzionali. Le trascrizioni non sono state tradotte in maniera corretta ma intere pagine sono state omesse, alcuni termini sostituti con altri. Una vera e propria manipolazione. Hanno montato un caso ad hoc. Non hanno tenuto in considerazione le prove che hanno presentato gli avvocati della difesa». Ornella non chiede che il figlio venga liberato ma che a Filippo vengano garantiti un processo equo, un trattamento dignitoso e condizioni civili. Si spera nel processo d'appello, fissato ad aprile ma nel frattempo Filippo vive nell'angoscia e in uno stato depressivo. «L'alimentazione - spiega ancora la mamma - è basata, tutti i giorni, in una brodaglia che gli viene somministrata attraverso le sbarre. Mio figlio soffre di colon irritabile e non ha mai ricevuto assistenza sanitaria. Non mi consentono di fargli avere le sue medicine. Si nutre di scatolette, salami, wurstel acquistati allo spaccio del carcere. Non ci è stato neanche consentito di portagli una coperta per ripararsi dal freddo. Subisce aggressioni, minacce, ricatti. Mio figlio trascorre le giornate nella totale disperazione e sconforto con costanti pensieri suicidi. Ogni giorno si spegne sempre di più e questo fa veramente male. Sono in contatto con la Farnesina ma non possono intervenire dal punto di vista giudiziario perché esistono degli accordi tra i Paesi membri. Fa male il fatto che nessuno possa fare veramente nulla, sia dal punto di vista giudiziario che dal punto di vista della dignità umana che dovrebbe essere garantita a tutti. È un'angoscia senza fine. Non vivo più da quel giorno, ho il cuore spezzato». (Gds.it)