Attualità
Sì al sesso in carcere per i detenuti, via libera dalla Consulta: no a chi è al 41 bis
Illegittimo l'obbligo assoluto di controllo a vista degli agenti
La Consulta ha dichiarato illegittimo l'articolo 18 del testo dell'ordinamento penitenziario nella parte che non consente: "Che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell'unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia". La Consulta, pertanto, "apre" al sesso del detenuto col partner. Illegittimo l'obbligo assoluto di controllo a vista degli agenti: la Cedu dà al detenuto il diritto all'affettività, sta alla legge creare in carcere spazi per colloqui intimi. È illegittimo, dunque l'obbligo assoluto di controllo a vista dei colloqui da parte degli agenti di custodia, quando non ci sono particolari esigenze di sicurezza: il recluso ha diritto all'affettività, un valore che è tutelato dall'ordinamento giuridico e garantito dalla Convenzione europea dei diritti; un'affettività «che non implica, ma neppure esclude la sessualità», già consentita in alcuni Paesi europei; spetta dunque al legislatore creare nelle carceri spazi adeguati per colloqui intimi, come esistono in Francia, Spagna e in molti länder tedeschi, che sarebbero comunque preclusi ai detenuti al 41 bis o in sorveglianza ma non a quelli ristretti per reati ostativi. Lo stabilisce la Corte costituzionale.
L'Alta Corte indica una serie di principi al legislatore chiamato a regolamentare la materia, piuttosto spinosa: le visite coniugali devono svolgersi in modo non sporadico e avere durata adeguata. E si dovrà fare il possibile per riprodurre un ambiente domestico all'interno dell'istituto di pena. Fondamentale la riservatezza: gli agenti vigileranno dall'esterno e lontanto da occhi indiscreti di altri detenuti e di quanti sono a colloquio con i reclusi. Prima di autorizzare il colloquio riservato il direttore del carcere deve verificare l'effettività della convivenza per chi non è sposato. La Corte costituzionale, rileva Giovanni D'Agata, presidente dello "Sportello dei Diritti" aveva già posto al legislatore la questione con la sentenza 301/12.