Spaccio di droga a Gela: ecco i nomi degli arrestati. Tra loro anche una donna
Cronaca
Spaccio di droga a Gela: ecco i nomi degli arrestati. Tra loro anche una donna
Si tratta di personaggi noti alle forze dell'ordine
Lo spaccio di sostanze stupefacenti, ed in particolare di cocaina, come core business di due nuclei familiari che, in periodo di lockdown, avrebbero gestito affari da capogiro in Smart working”. Nessuna preclusione al giro avrebbero rappresentato neppure le misure cautelari agli arresti domiciliari cui alcuni di loro erano sottoposti. Gli affari dovevano proseguire e ogni componente delle famiglie interessate si dava da fare, donne comprese. È stata denominata “Smart working”, l’inchiesta antidroga, l’ultima in ordine di tempo sul fronte della lotta al narcotraffico che nel nostro territorio ha proporzioni allarmanti, che stanotte ha portato all’incriminazione di 11 persone, per dieci delle quali il Gip del Tribunale, su input della locale Procura, ha emesso ordinanza si custodia cautelare in carcere. A sei di loro il provvedimento restrittivo è stato notificato in cella dove si trovavano già ristrettì per imputazioni analoghe. L’undicesima ordinanza ha riguardato una donna, finita agli arresti domiciliari per avere collaborato il coniuge nella conduzione degli affari di famiglia, ricevendo clienti e discutendo di incassi. Si tratta di Anna Maganuco, moglie di Giacomo Tumminelli, quest’ultimo personaggio noto nel panorama criminale per essere rimasto implicato negli anni in imponenti inchieste che hanno riguardato il narcotraffico. Oltre ai due coniugi, destinatari del provvedimento restrittivo sono stati i fratelli Antonio e Ruben Raitano, Simone Alario, Francesco Scolone, Francesco Casco, Giovanni Bonelli, Antonio Seca Curvà, Marco Ferrigno e Salvatore Azzarelli, quest’ultimo vittima la scorsa estate di un attentato alla vita mentre transitava in via Venezia in compagnia della sorella a bordo di un’autovettura. Nei mesi di attività investigativa - compresi tra il 2020 ed il primo bimestre del 2021, gli agenti del locale commissariato guidati dal primo dirigente Felice Puzzo e coordinati dai magistrati della locale Procura, hanno ricostruito le modalità con cui veniva gestito lo spaccio di cocaina che, secondo quanto accertato, avrebbe garantito ai protagonisti guadagni oscillanti tra i 5 ed i 6 mila euro a settimana. Due le centrali di spaccio, una sita ne popoloso quartiere Bastione e l’altra tra le vie Perugia e Tucidide dove mini eserciti di clienti si recavano per rifornirsi di cocaina, certi di non rimanere a mani vuote. Molti dei clienti erano fidelizzasti e tra loro c’era chi giungeva anche dai centri limitrofi, come Niscemi, per l’acquisto di “polvere bianca”. Uno di loro, all’atto di sfuggire ad un controllo di polizia, preferì ingerire la dose appena acquistata. Finì in ospedale in coma. Per il reperimento di cocaina da vendere a fiumi in città, i narcotrafficanti collaboranti dai familiari si spostavano da fornitori di fiducia catanese ed anche di fuori regione con autovetture noleggiate. Precauzioni che non li hanno messi al riparo dal l’occhio vigile dei poliziotti che dopo avere notato il continuo andirivieni di persone dalle loro abitazioni avevano avviato una certosina attività d’indagine che, ora, li ha “traditi”.
Lo spaccio di sostanze stupefacenti, ed in particolare di cocaina, come core business di due nuclei familiari che, in periodo di lockdown, avrebbero gestito affari da capogiro in Smart working". Nessuna preclusione al giro avrebbero rappresentato neppure le misure cautelari agli arresti domiciliari cui alcuni di loro erano sottoposti. Gli affari dovevano proseguire e ogni componente delle famiglie interessate si dava da fare, donne comprese. È stata denominata "Smart working", l'inchiesta antidroga, l'ultima in ordine di tempo sul fronte della lotta al narcotraffico che nel nostro territorio ha proporzioni allarmanti, che stanotte ha portato all'incriminazione di 11 persone, per dieci delle quali il Gip del Tribunale, su input della locale Procura, ha emesso ordinanza si custodia cautelare in carcere.
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A sei di loro il provvedimento restrittivo è stato notificato in cella dove si trovavano già ristrettì per imputazioni analoghe. L'undicesima ordinanza ha riguardato una donna, finita agli arresti domiciliari per avere collaborato il coniuge nella conduzione degli affari di famiglia, ricevendo clienti e discutendo di incassi. Si tratta di Anna Maganuco, moglie di Giacomo Tumminelli, quest'ultimo personaggio noto nel panorama criminale per essere rimasto implicato negli anni in imponenti inchieste che hanno riguardato il narcotraffico. Oltre ai due coniugi, destinatari del provvedimento restrittivo sono stati i fratelli Antonio e Ruben Raitano, Simone Alario, Francesco Scolone, Francesco Casco, Giovanni Bonelli, Antonio Seca Curvà, Marco Ferrigno e Salvatore Azzarelli, quest'ultimo vittima la scorsa estate di un attentato alla vita mentre transitava in via Venezia in compagnia della sorella a bordo di un'autovettura.
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Nei mesi di attività investigativa - compresi tra il 2020 ed il primo bimestre del 2021, gli agenti del locale commissariato guidati dal primo dirigente Felice Puzzo e coordinati dai magistrati della locale Procura, hanno ricostruito le modalità con cui veniva gestito lo spaccio di cocaina che, secondo quanto accertato, avrebbe garantito ai protagonisti guadagni oscillanti tra i 5 ed i 6 mila euro a settimana. Due le centrali di spaccio, una sita ne popoloso quartiere Bastione e l'altra tra le vie Perugia e Tucidide dove mini eserciti di clienti si recavano per rifornirsi di cocaina, certi di non rimanere a mani vuote. Molti dei clienti erano fidelizzasti e tra loro c'era chi giungeva anche dai centri limitrofi, come Niscemi, per l'acquisto di "polvere bianca". Uno di loro, all'atto di sfuggire ad un controllo di polizia, preferì ingerire la dose appena acquistata. Finì in ospedale in coma. Per il reperimento di cocaina da vendere a fiumi in città, i narcotrafficanti collaboranti dai familiari si spostavano da fornitori di fiducia catanese ed anche di fuori regione con autovetture noleggiate. Precauzioni che non li hanno messi al riparo dal l'occhio vigile dei poliziotti che dopo avere notato il continuo andirivieni di persone dalle loro abitazioni avevano avviato una certosina attività d'indagine che, ora, li ha "traditi".